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Beppe Grillo, condannato per diffamazione aggravata, la sentenza dei giudici: “Il diritto di critica non può fondarsi sulla menzogna”

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Beppe Grillo si è ritrovato con una condanna per diffamazione da parte della parlamentare Cinzia Capano, esponente del Partito Democratico dopo che il fondatore dei 5S l’aveva accusata di non essersi presentata in aula per boicottare il referendum sull’acqua, mentre la realtà era ben diversa: la parlamentare era stata ricoverata d’urgenza per un malore.

Nello specifico le parole diffamatorie contro la Capano sono state pronunciate il 9 giugno 2011 ai microfoni di Anno Zero, dove il fondatore del M5S criticò duramente l’assenza della parlamentare barese in aula quando si sarebbe dovuta votare la proposta di inserire nell’Election day il referendum sull’acqua pubblica.

Beppe Grillo condannato diffamazione

Beppe Grillo condannato per diffamazione

Queste dichiarazioni di Beppe Grillo sono conseguenti a quanto si è verificato nell’aula del Parlamento nel maggio 2021 e che è stato fonte della condanna di Beppe per diffamazione con la seguente motivazione da parte dei giudici: “La critica non si basi su una menzogna”.

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L’accusa di diffamazione aggravata in base a quanto sentenziato dai giudici della terza sezione penale della Corte d’Appello di Bari è stata così snodata: “Il diritto di critica, anche quella politica, è un bene prezioso della democrazia. È uno dei pilastri sui quali si fonda lo Stato democratico. Se viene meno il diritto di critica, viene meno la democrazia.

Esso, però, non può spingersi né può essere accolto oltre il concreto senso della ragionevolezza; non può insomma fondarsi sulla menzogna; non può confondersi con la menzogna denigratoria; non può costituire menzogna denigratoria finalizzata all’attacco personale lesivo della dignità della persona”. Una condanna che dovrebbe tradursi con il solo risarcimento dei danni con quantificazione da parte dal giudice civile e conseguente assoluzione dal giudice monocratico in primo grado

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