La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso della Procura di Agrigento contro Carola Rackete. Una decisione di queste ore che sta già provocando polemiche ovunque.
In buona sostanza per i giudici della Cassazione la Rackete non va arrestata per i fatti che hanno riguardato la Sea Watch durante la scorsa estate.
L’Italia, da quel 29 giugno, si è praticamente divisa in due fazioni da stadio: chi sosteneva e sostiene che lo speronamento della motovedetta della Guardia di Finanza fosse un atto illecito.
E chi, viceversa, ha applaudito e pensa ancora oggi che Carola Rackete sia una sorta di cavaliere senza macchia e senza paura.
Giova ricordare, in questa vicenda che vede al centro di un possibile processo anche l’ex Ministro degli Interni Matteo Salvini, che l’imbarcazione capitanata dalla Rackete ha commesso un atto ostile contro un mezzo militare italiano.
Se la vicenda avesse avuto come teatro le acque di Paesi come Australia, Russia o Gran Bretagna, molto attente nella protezione dei propri confini, probabilmente l’intrepida Carola avrebbe tenuto un atteggiamento diverso.
Ed è la stessa Rackete, per nulla ingenua, ad averne piena consapevolezza. In una dichiarazione via radio, poco prima dell’ingresso a Lampedusa disse: “Ho deciso di entrare in porto a Lampedusa. So cosa rischio, ma i 42 naufraghi a bordo sono allo stremo. Li porto in salvo”.
Una vicenda, quindi, dal chiaro carattere politico, che vedrà probabilmente sul banco degli imputati chi voleva vietare che le persone tentassero di sbarcare, ed anche di partire, e chi pensa il contrario.
Pensiamo che nessuno, specie da dietro una tastiera, abbia il diritto di ergersi a conoscitore dell’atteggiamento giusto di fronte a migrazioni come queste.
I morti in mare, quindi le persone annegate prima che qualcuno le portasse a bordo delle navi delle Ong, con la politica dei “porti chiusi” sono diminuite.
Sicuramente non è permettendo che vi sia un traffico indecente sugli esseri umani che si sta dalla parte della vita.
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