Il web si conferma, ancora una volta, un ambiente dove l’odio può proliferare senza freni. Al centro dell’ultima bufera c’è un presunto impiegato del Ministero dell’Istruzione, accusato di una serie di messaggi online carichi di minacce e violenza, culminati in un agghiacciante augurio di morte rivolto alla figlia della premier Giorgia Meloni. Il riferimento più sconvolgente richiama l’efferato femminicidio di Martina Carbonaro, la quattordicenne brutalmente uccisa ad Afragola, un episodio che ha già scosso profondamente l’opinione pubblica. L’indignazione è esplosa, portando a segnalazioni ufficiali da parte di cittadini e colleghi.
Non si tratta però di un fatto isolato. Scavando tra le pubblicazioni del profilo social legato a quest’uomo – che non è stato ancora identificato ufficialmente ma risulterebbe essere un dipendente del Miur – emerge un lungo elenco di post dai contenuti carichi di disprezzo. Giorgia Meloni figura spesso come bersaglio principale, colpita con epiteti offensivi e storpiature del suo nome, tra cui “Carciofara”. In un altro commento si legge: “Votatela ancora a questa nana”, con chiaro riferimento denigratorio al suo aspetto. Un linguaggio lontano anni luce dal confronto politico, che affonda le radici in un rancore personale e ideologico.
In ulteriori esternazioni, l’autore dei post avrebbe attaccato anche giornalisti impegnati nella cronaca, prendendo spunto dalla riapertura del caso Garlasco. In uno dei messaggi, il tono sprezzante e provocatorio suggerisce l’intento di silenziare l’informazione: “Giornalisti di 4 ordine continuate a parlare di Garlasco. Il ragazzo è inquietante anche se gli ridate la libertà”. Un chiaro riferimento ad Alberto Stasi, unico condannato per l’omicidio di Chiara Poggi.
L’odio si estende anche ad altri rappresentanti dell’esecutivo. In un post corredato da un’immagine che ritrae Meloni con Netanyahu, Salvini e Tajani, l’uomo ha commentato: “E loro se la ridono. Vergognatevi maledetti”, per poi concludere con una frase glaciale: “Ai vostri figli la stessa sorte”, un’allusione che pare evocare la tragedia dei bombardamenti su Gaza.
Su Instagram, Giorgia Meloni ha affidato alla rete un messaggio carico di dolore e fermezza: “Questo non è scontro politico. Non è nemmeno rabbia. È qualcosa di più oscuro, che racconta un clima malato, un odio ideologico, in cui tutto sembra lecito, anche augurare la morte a un figlio per colpire un genitore”. Un appello affinché la politica, tutta, trovi la forza di opporsi a questa spirale di violenza. Perché esistono limiti che non devono mai essere superati.
Anche il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi è stato bersaglio dell’odio digitale. Dopo aver espresso vicinanza alla premier per le minacce ricevute, un utente ha pubblicato un altro messaggio gravissimo: “Vedi che anche voi rubate i soldi e il cibo dei nostri figli. Quindi confermo l’augurio, anche ai tuoi”, coinvolgendo direttamente le figlie del ministro in un’escalation verbale che non risparmia nemmeno i più piccoli.
Questo ennesimo episodio solleva nuove preoccupazioni sull’assenza di controllo nei social. L’odio corre veloce, colpisce con brutalità e non fa distinzioni, neppure tra adulti e bambini. Se dietro questi attacchi si cela davvero un dipendente pubblico, la questione assume un peso ancor più grave: perché rappresentare lo Stato significa anche rispettarne la dignità e i valori.
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