Coronavirus. È l’epidemiologo Luigi Lopalco a frenare gli entusiasmi e le speranze di chi vede nel 2 Maggio la data della ripartenza italiana.
Passata la fase più acuta dei contagi e della diffusione del virus, l’Italia è alle prese con decisioni altrettanto importanti e delicate. La cosiddetta Fase 2 anima il dibattito, ed in alcune occasioni, anche lo scontro tra politica e mondo scientifico.
Da un lato chi, anche sulla scorta di quello che accade in altri Stati, spinge perchè il Paese si incammini verso un ritorno alla normalità e chi, invece, getta acqua sul fuoco.
Tra questi anche l’epidemiologo Luigi Lopalco, dell’Università di Pisa e coordinatore scientifico della task force pugliese per l’emergenza coronavirus.
“Finché non torniamo ad avere il controllo della situazione, ha detto Lopalco, non possiamo ripartire”.
Parole che suonano come una doccia fredda dopo gli annunci ed i propositi di riapertura espressi dai Governatori del Veneto e della Lombardia.
“Servono certezze, altrimenti è un salto nel buio”, ha risposto Lopalco all’annuncio di Attilio Fontana, che ieri ha sollecitato un piano di riapertura basato sulle 4 D.
“Il bollettino quotidiano bisogna prenderlo per quello che è, un sistema di sorveglianza epidemiologica e in quanto tale non è un sistema completo”, ha aggiunto Lopalco.
L’impressione, per chi vive le enormi difficoltà e le paure sulla tenuta del sistema economico e produttivo italiano, è che si stia procedendo in ordine sparso.
Uno dei settori che avverte di più la portata di questa crisi è sicuramente quello del turismo.
Se è vero, come sostiene l’epidemiologo, che probabilmente durante l’estate sarà possibile tornare in spiaggia, pur con tutte le cautele del distanziamento, fissare oggi date precise non è ancora saggio.
“La ripartenza sarebbe rischiosa e potrebbe portare a un secondo lockdown che psicologicamente ed economicamente oltre che a livello sanitario sarebbe disastroso”.
L’Italia intera, il Paese che ha dimostrato di saper affrontare in maniera dignitosa questa inaspettata pandemia, ha bisogno di regole chiare e, soprattutto, condivise.
Altrimenti, il rischio vero che si corre, è quello di una confusione e di una improvvisazione che nuoce a tutto il sistema. Sia sanitario che, in grande misura, anche economico.
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