Non erano passati neanche sessanta secondi dal decollo quando il volo AI171 della Air India ha smesso di esistere.
Alle 13:39 del 12 giugno, un Boeing 787-8 decollato da Ahmedabad con destinazione Londra Gatwick si è abbattuto al centro di una zona urbana, trasformando un ordinario pomeriggio in una catastrofe. A bordo viaggiavano 242 persone: una sola è riuscita a salvarsi. Altri 29 civili sono morti a terra, colpiti dai resti dell’aereo schiantatosi contro la mensa di un’università.
Il disastro si è consumato in una manciata di secondi. Non c’erano perturbazioni, né segnali di pericolo. Gli inquirenti, sin da subito alle prese con un puzzle complesso fatto di dati e ipotesi, hanno trovato un punto di svolta con la pubblicazione del rapporto preliminare l’11 luglio.
Il documento, rilasciato dalle autorità indiane, scarta l’ipotesi di malfunzionamenti tecnici. Le indagini portano dritte alla cabina di comando, dove una frase pronunciata pochi attimi dopo il decollo ha acceso il panico: “Perché hai spento i motori?”. La risposta, registrata dal Cockpit Voice Recorder, è gelida e sconcertante: “Non sono stato io”. Da lì, il destino del volo era già segnato.
Il Flight Data Recorder ha confermato un’azione manuale: le manette che regolano il carburante sono state spostate dalla modalità “Run” a “Cutoff”, tagliando l’alimentazione ai propulsori. Dieci secondi dopo si è cercato invano di riavviarli, ma l’aereo stava già precipitando. Alle 13:39:11 i dispositivi di registrazione hanno smesso di inviare segnali. L’impatto con il suolo era inevitabile.
Al comando del jet c’erano due aviatori esperti: il comandante Sumeet Sabharwal, con 15.000 ore di volo, e il primo ufficiale Clive Kunder, con all’attivo 3.400 ore. Secondo quanto riportato da esperti consultati, la procedura per spegnere i motori richiede una serie di azioni volontarie e non può avvenire accidentalmente: bisogna sollevare le leve e poi ruotarle. Una manovra che si effettua solo all’inizio, al termine del viaggio, o in caso di emergenza. Ma quel giorno, nei primi secondi, non vi erano allarmi né anomalie.
Tutto ruota intorno a quel breve ma sconvolgente scambio di battute nella cabina. Un gesto inspiegabile ha causato lo spegnimento di entrambi i motori a pochi metri d’altezza. Le indagini sono ancora in corso e non è stata attribuita alcuna colpa specifica, ma una cosa è certa: non è stato un difetto dell’aereo a condannare i passeggeri. È stato un errore umano, o forse qualcosa di più inquietante.
Nei prossimi mesi si dovrà chiarire se si è trattato di un fraintendimento, di un protocollo applicato male, o di un gesto volontario. Ma un punto fermo c’è: l’AI171 non è caduto a causa di un temporale, né per un problema tecnico. È precipitato perché qualcuno, consapevolmente o no, ha compiuto l’azione sbagliata nel momento più critico.
E mentre il mondo resta in attesa di risposte, una sola domanda continua a echeggiare tra i rottami e le pagine dei rapporti ufficiali: perché?
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