Proprio nei giorni in cui la curva dei contagi da Coronavirus sembrava prendere una discesa importante, un allarme arriva dalla Gran Bretagna e da alcuni ospedali del Nord Italia. Ha un nome orientale: sindrome di Kawasaki.
Colpisce in prevalenza i bambini, e sia i medici che ricercatori stanno cercando di capire che legame possa esserci con il Covid 19.
La dottoressa Alessandra Marchesi, medico dell’Unità Operativa di Pediatria Generale e Malattie Infettive del Dipartimento di Medicina Pediatrica IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, è una della maggiori esperte della malattia di Kawasaki
“Al momento non possiamo dare nessun tipo di spiegazione causa-effetto tra COVID e Kawasaki – afferma la Dottoressa Marchesi -, perché non abbiamo i dati.
Sappiamo che magari pazienti COVID positivi a Bergamo hanno sviluppato anche la Kawasaki e che c’è stato un aumento dell’incidenza, però bisognerà studiare meglio i meccanismi sottostanti. ”
Cos’è quindi questa patologia ?
Si tratta di un’ infiammazione dei vasi sanguigni, la cosiddetta vasculite, che può manifestarsi accompagnata da altri sintomi più o meno violenti.
Febbre, congiuntivite, rash cutanei, alterazione dei linfonodi.
“Va studiata e capita”, ammette l’esperta di Roma.
“Noi siamo inondati da mail e messaggi di persone che hanno già avuto la malattia di Kawasaki e che ci chiedono informazioni in merito al legame col cornavirus, ma al momento non sappiamo.
Poi magari l’anno prossimo rilasceremo delle dichiarazioni completamente differenti” .
Nelle regioni più colpite dalla pandemia da coronavirus i casi di malattia di Kawasaki sono aumentati, mentre in altre zone del Paese l’incidenza mantiene un trend a quello simile agli altri anni.
“Ad oggi, continua la Dottoressa Marchesi la malattia è trattata con una terapia a base di immunoglobine ed aspirina.”
Il decorso, in casi normali, avviene in circa 2 settimane, e raramente la malattia di Kawasaki può causare la morte.
Incalzata dai giornalisti sul legame con il Covid la Dottoressa spiega: “Non lo escludiamo.
Noi il trigger infettivo lo abbiamo presente e lo stiamo cercando da tanto tempo, per cui può anche essere che il coronavirus sia un possibile trigger.”
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