Quella che si è consumata è una storia segnata da dolore e colpa, dove un errore umano ha spazzato via due esistenze. Da un lato quella di Michael, un bambino di quattro anni che ha perso la vita annegando in una piscina di un parco acquatico, e dall’altro quella di Matteo Formenti, il bagnino che quel giorno non era al suo posto a sorvegliare l’acqua. Un’assenza che si è trasformata in tragedia, conducendo Formenti verso un destino altrettanto doloroso.
Il piccolo Michael si trovava con suo padre al parco acquatico Tintarella di Luna, a Castrezzato, nel Bresciano, per una giornata di svago. È bastato un attimo di distrazione, pochi secondi, e il bambino si è ritrovato in acqua senza alcuna protezione, né braccioli né salvagente. Quando qualcuno si è accorto di lui sul fondo della piscina, era ormai troppo tardi: dopo due giorni in ospedale, il cuore di Michael si è fermato per sempre.
Quel giorno, Matteo Formenti non era a bordo piscina, ma impegnato in un intervento tecnico richiesto dal suo superiore. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, riportato anche da Repubblica, Formenti avrebbe dovuto ricevere un avviso di garanzia per omicidio colposo il lunedì successivo, insieme ad altri colleghi coinvolti nell’indagine. Ma quel lunedì, Matteo era scomparso.
Il suo corpo è stato ritrovato dopo pochi giorni, con un sacchetto di plastica avvolto sulla testa e le mani legate. Un gesto che, secondo le autorità, sarebbe stato volontario. Il senso di responsabilità, la pressione dell’accusa e il dolore per la morte di un bambino avrebbero spezzato l’equilibrio emotivo di Matteo, 37 anni, incapace di reggere il peso di ciò che era accaduto.
“Il senso di colpa per un errore che ha portato alla morte di un bambino può diventare un tormento profondo, toccando corde morali ed esistenziali difficili da sostenere”, ha spiegato lo psichiatra Claudio Mencacci, commentando la vicenda. Dopo l’incidente, il telefono di Formenti era stato sequestrato e lui aveva comprato una nuova sim, mentre sui social cominciavano a circolare commenti e accuse generiche rivolte ai bagnini del parco. Parole che, anche se non indirizzate direttamente a lui, possono aver aggravato un dolore già insostenibile.
“Matteo soffriva, sì, per la morte di quel bambino”, ha raccontato la zia materna, “ma mai avremmo pensato che potesse arrivare a tanto”. Le parole della famiglia rivelano un senso di colpa che lo stava consumando ogni giorno, un dolore muto che si è trasformato in tragedia.
Mentre la Procura prosegue le indagini per chiarire ogni responsabilità su quanto accaduto quella mattina, resta un dolore che accomuna due famiglie spezzate: una distrutta dalla perdita di un figlio, l’altra segnata da una morte che, forse, si sarebbe potuta evitare se solo ci fosse stato più ascolto, meno giudizi e maggiore attenzione verso chi vive un confine fragile tra colpa e sofferenza.
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