Vittorio Sgarbi sta attraversando un momento estremamente delicato. Il critico d’arte e sottosegretario, da tempo al centro del dibattito mediatico, è attualmente ricoverato al Policlinico Gemelli di Roma, dove sta affrontando una doppia battaglia: una contro la malattia e una contro la depressione, che lo avrebbe portato – secondo quanto trapelato – persino a smettere di alimentarsi.
A parlarne nei giorni scorsi è stato lo scrittore Marcello Veneziani, che al Corriere della Sera ha descritto un quadro profondamente umano e fragile:
“La depressione è figlia del suo narcisismo ferito. Il suo universo si restringe, e questo è drammatico per chi ha sempre creduto di poter cavalcare il mondo”.
Nelle ultime ore, anche Morgan ha voluto dire la sua. L’artista, da tempo legato a Sgarbi da un rapporto di amicizia sincero, ha pubblicato su Instagram un lungo post in cui esprime il proprio dolore per le condizioni dell’amico e denuncia il clima ostile che – a suo dire – lo avrebbe travolto.
“Vittorio Sgarbi, la personificazione dell’intelligenza e della vitalità, ha rinunciato a lottare per affermare la rinascita culturale di un Paese che con ingratitudine lo ha colpito duramente e abbattuto. Anche il genio è di carne ed ossa.
Molti mediocri saranno contenti di averlo eliminato, io rimpiango il mio amico coraggioso e leale, un maestro e un padre. Lo spegnimento della mente di Sgarbi è il più grande atto vandalico che la cancel culture italiana abbia mai commesso”.
Parole forti, che hanno scatenato reazioni e riflessioni, soprattutto tra chi ha sempre seguito con ammirazione – o critica – il percorso intellettuale e provocatorio di Sgarbi.
Anche Veneziani, sebbene consapevole della gravità del momento, non perde la speranza:
“La depressione è un’alleata della malattia. Ma conoscendo Vittorio, non escludo affatto un risorgimento personale. Potrebbe ritrovare l’impeto per riprendere la sua strada. Ma dovrà affrontare un passaggio molto importante”.
In un’Italia sempre più polarizzata, il silenzio – e la fragilità – di una figura come Sgarbi solleva interrogativi profondi su quanto il dibattito culturale, politico e mediatico possa ferire. E sul confine sottile tra genio e dolore.
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