Una famiglia con tre bambini piccoli non riesce a pagare più l’affitto e rischia di rimanere senza un tetto, per via dello sfratto intimato, dopo che il capofamiglia ha perso il lavoro. Una vicenda che ha colpito la famiglia di Ashraf in Italia da più di 30 anni, il quale dopo aver perso il lavoro ha anche perso l’appartamento in affitto presso il quartiere Alessandrino, in via del Grano a Roma.
Il solo reddito della sua famiglia per lungo tempo è stato lo stipendio come impiegato in una pizzeria, ma una volta perso il lavoro, Ashraf non è stato più in grado di pagare l’affitto, un’insolvenza che ha avuto delle conseguenze: è arrivato lo sfratto, ed il 22 settembre la sua famiglia si ritroverà senza una casa in cui vivere. Dopo un primo rinvio dell’esecuzione dell’ordinanza di sgombero, che era prevista per il 12 settembre, nel corso della quale si sono presentati un ufficiale giudiziario e le forze dell’ordine, lo sfratto potrebbe essere convalidato la prossima data prevista per l’esecuzione.
Da quanto riferito sulle colonne di RomaToday, Ashraf e la moglie sono genitori di due gemellini di 3 anni e di un bimbo di 1 anno e mezzo, e da tempo vivono nella capitale dove l’uomo originario dell’Egitto prima delle difficoltà scatenate dalla pandemia lavorava in una pizzeria. Nel 2019 si è ritrovato senza lavoro per la chiusura dell’attività, e così per la sua famiglia affrontare una spesa di 800 euro di affitto è diventato impossibile.
Il mancato pagamento dell’affitto ha determinato la morosità, facendo così scattare le prime diffide che si sono concluse con un atto finale: l’ordinanza di sfratto. Una vicenda che è stata denunciata anche dall’Usb (associazione inquilini e abitanti) che ha lamentato la mancanza di disponibilità abitative per la famiglia. “Non hanno alternative perché nessuno ha saputo fornirgliele. I servizi sociali, la sala operativa, nessuno. Non ci sono posti per loro” – questo quanto riferito da Maria Vittoria Molinari di Asia Usb.
Ashraf e la sua famiglia per il momento possono contare su una temporanea sistemazione: la parrocchia di quartiere ha messo a disposizione per 3 mesi una stanza, ma l’uomo egiziano avrebbe declinato l’offerta come reso noto dalla sindacalista: “Ha rifiutato perché è una soluzione a termine, poi si troverebbero di nuovo per strada”. Una vicenda che ha fatto emergere una contraddizione dal momento che la famiglia di Ashraf gode della protezione dell’Onu: di fatto l’Alto Commissario per i diritti umani ha chiesto di non procedere con l’esecuzione di sfratto. La richiesta però si è scontrata con la decisione finale del giudice che ha accolto invece la richiesta di sfratto, non tenendo conto delle raccomandazioni dell’Onu.
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