A pochi passi di distanza, si consumavano due realtà agli antipodi. Dentro il Centro di Produzione Rai di Napoli, tra sorrisi e riflettori, si annunciavano con entusiasmo i nuovi palinsesti della prossima stagione. Fuori, sul marciapiede, si viveva un momento completamente diverso, tra sguardi tesi e silenzi pesanti. I giornalisti manifestavano contro scelte che minacciano l’informazione d’inchiesta, sacrificata in favore di programmi più leggeri e “sicuri”.
A guidare simbolicamente questa protesta c’era Sigfrido Ranucci, volto storico di Report, che ha deciso di essere presente, questa volta senza nascondersi dietro un’assenza silenziosa. Accanto a lui, colleghi, autori e collaboratori, uniti nel denunciare tagli che colpiscono non solo i diretti interessati, ma l’intero sistema informativo del Paese. Quattro puntate in meno per Report non sono solo numeri per Ranucci, ma il segno evidente di una direzione ben precisa, che mette a rischio la qualità e la libertà dell’informazione. “Con chi dovrei realizzare il programma?”, ha domandato amaramente, riferendosi alle stabilizzazioni dei 127 precari Rai, che secondo lui non rafforzeranno le redazioni ma saranno impiegati altrove, lasciando vuoti operativi insostenibili.
Non era solo Ranucci a manifestare quel giorno. Anche Duilio Giammaria ha ceduto alla commozione davanti alle telecamere. Il suo programma “Petrolio” è stato cancellato, una decisione che per lui rappresenta un dolore personale, ma anche un segnale preoccupante per l’informazione di servizio pubblico. “Sono profondamente addolorato”, ha confessato con la voce rotta, lasciando emergere la frustrazione e il senso di impotenza che si respiravano tra i presenti.
Ranucci ha sottolineato che il cuore dell’informazione non può ridursi a semplici spazi di palinsesto, ma si fonda sulle idee e sul rispetto di chi le porta avanti: “Noi comunichiamo con gli occhi e con le parole, non con le griglie dei programmi”, ha affermato. Un pensiero condiviso da molti altri colleghi, convinti che il servizio pubblico debba garantire spazi di approfondimento e indipendenza editoriale per rimanere fedele alla sua missione.
Nel frattempo, all’interno del Centro Produzione, l’ad Roberto Sergio rassicurava con toni pacati, parlando di inclusione e stabilizzazione di decine di precari, mentre rispondeva alle domande cercando di trasmettere l’immagine di una Rai pronta a rinnovarsi. Ma all’esterno, nello stesso momento, la realtà era ben diversa: una realtà fatta di giornalisti che temono di essere messi da parte, di redazioni che rischiano di scomparire e di idee che non vengono fermate per i contenuti, ma per motivi economici.
Due facce della stessa azienda. Da una parte la celebrazione dei nuovi progetti, dall’altra una ferita profonda che colpisce la parte più preziosa del giornalismo Rai. Un conflitto che va oltre la semplice programmazione, mettendo in discussione il ruolo stesso del servizio pubblico all’interno della democrazia.
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