Il tanto atteso faccia a faccia tra Donald Trump e Vladimir Putin, tenutosi ad Anchorage, in Alaska, si è concluso senza risultati concreti. L’obiettivo era avviare una svolta nella crisi ucraina, ma dopo tre ore di colloquio, l’incontro si è chiuso con parole di rito e nessun accordo tangibile. Entrambi i leader hanno definito l’incontro “utile” e “positivo”, ma senza annunciare alcun traguardo. Trump ha liquidato l’assenza di esiti con un laconico: “Un’intesa c’è solo quando si firma”, mentre Putin, in un raro intervento in inglese, ha invitato l’ex presidente a Mosca, esprimendo la speranza di un cammino verso la pace. La conferenza stampa finale, senza possibilità di domande, ha lasciato una scia di delusione e l’impressione di un’occasione sprecata.
Anthony Zurcher, giornalista della BBC esperto di politica nordamericana, ha osservato come questo summit rischi di compromettere seriamente l’immagine di Trump come abile negoziatore. Nonostante le aspettative e le dichiarazioni della vigilia, l’ex presidente ha dovuto ammettere che “non siamo arrivati a nulla di concreto”. Nessun cessate il fuoco, nessun patto, solo parole generiche su presunti “passi avanti” che non hanno trovato riscontro nei fatti.
Il finale dell’incontro ha rafforzato la percezione di un’America in posizione debole. Putin ha parlato a lungo senza che Trump replicasse, in un monologo che per molti è sembrato un gesto di superiorità. Proprio in territorio statunitense, il leader russo è apparso sicuro, arrivando perfino a menzionare con fierezza l’antica “Alaska russa”.
Steve Rosenberg, inviato della BBC da Mosca, non ha dubbi: il vero beneficiario dell’incontro è stato Putin. Essere immortalato al fianco di un ex presidente USA gli ha offerto una ribalta di valore simbolico e strategico. Se Trump cercava una tregua, Putin ha ribadito la sua inflessibilità. L’assenza di domande da parte dei giornalisti ha rafforzato l’impressione di una regia saldamente in mano al Cremlino, che ha ottenuto visibilità internazionale senza concedere nulla.
Dal fronte ucraino, Vitaliy Shevchenko di BBC Monitoring ha notato che almeno un elemento positivo c’è stato: nessuna dichiarazione o accordo che potesse sembrare una concessione territoriale a favore di Mosca. A Kiev la notizia è stata accolta con un misto di sollievo e scetticismo, dato che le promesse del Cremlino, in passato, si sono spesso rivelate inconsistenti. A inquietare è stata invece la retorica usata da Putin, che ha parlato delle “radici profonde” del conflitto, un’espressione che secondo Shevchenko indica la volontà russa di mettere in discussione l’esistenza stessa dell’Ucraina come nazione indipendente.
L’impasse di Anchorage riporta l’attenzione sulla Nato e sull’unità del fronte europeo. Trump ha dichiarato che informerà gli alleati dell’Alleanza Atlantica, senza però entrare nei particolari. Secondo alcuni analisti, l’assenza di risultati concreti potrebbe spingere Bruxelles a serrare le fila, evitando che Mosca possa approfittare di eventuali crepe interne. Tuttavia resta da vedere se Washington sarà disposta a trasformare le minacce di nuove sanzioni in provvedimenti effettivi.
Intanto, le capitali europee mantengono un atteggiamento di cautela: nessuna concessione all’aggressione russa, ma nemmeno progressi sostanziali. Il rischio è che il conflitto si cristallizzi in uno stallo favorevole agli interessi strategici del Cremlino.
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