Durante una recente puntata del talk show Dritto e rovescio, condotto da Paolo Del Debbio, si è riacceso il dibattito su una tematica che da tempo scuote le coscienze: l’aumento di giovani che girano armati. A far scattare la miccia è stata la dichiarazione di un ragazzo, appartenente all’universo giovanile dei cosiddetti “maranza”, che ha raccontato senza filtri la propria abitudine di portare un coltello con sé.
Con un tono disarmante e senza apparente rimorso, il giovane ha affermato di farlo per sentirsi al sicuro dopo essere stato aggredito. “Mi porto dietro il coltello per proteggermi”, ha spiegato, mostrando le cicatrici sul volto come prova dell’attacco subito. Un racconto crudo che ha provocato sconcerto tra gli ospiti e tra il pubblico in studio.
Il ragazzo ha continuato il suo intervento sottolineando come, rispetto a dieci anni fa, la situazione sia completamente cambiata: “Quando avevo 16 anni non c’era tutta questa roba dei coltelli. Ora è diventata una tendenza. I più giovani, quelli di 15, 16, 17 anni, si sentono forti ascoltando certe canzoni e girano armati per sentirsi qualcuno”.
Parole che rivelano una profonda contraddizione: da un lato la consapevolezza del rischio, dall’altro una distorta normalizzazione della violenza. “Mi devo difendere da quelli come me”, ha detto, rendendo evidente un circolo vizioso in cui il pericolo percepito giustifica, agli occhi di alcuni, l’uso delle armi.
La sua testimonianza ha fatto emergere non solo un atteggiamento provocatorio, ma anche una paura diffusa, quella di vivere in un contesto in cui sentirsi vulnerabili è la norma. L’arma bianca diventa così un accessorio identitario, alimentato da modelli culturali che esaltano atteggiamenti violenti e da una musica che spesso romanticizza la delinquenza.
Il ragazzo ha rappresentato, in quel momento, un’intera fetta di gioventù che si muove in una zona grigia, tra bisogno di protezione e fascino per la trasgressione.
A prendere parola, con tono deciso, è stato Simone Leoni, rappresentante di Forza Italia Giovani, presente in trasmissione. Rivolgendosi direttamente al ragazzo, ha pronunciato una frase che ha tagliato il silenzio dello studio: “Allora cominciamo a smettere di portarci il coltello in tasca. Perché poi finisce che aggredite anche chi non ha fatto nulla”.
Un intervento secco, che ha lasciato il giovane perplesso e ha segnato una netta presa di distanza da quella narrazione che vede l’arma come strumento legittimo di difesa personale.
Lo scambio tra i due ha mostrato un evidente scontro tra realtà diverse: da un lato una gioventù che si rifugia nell’uso della forza per sopravvivere a un ambiente percepito come ostile, dall’altro il richiamo al rispetto della legge e alla necessità di fermare una deriva preoccupante.
Leoni ha evidenziato quanto sia pericoloso giustificare comportamenti del genere, sottolineando che chi gira con un coltello spesso non si limita a difendersi, ma può trasformarsi in aggressore. Una riflessione che ribalta la prospettiva di chi vorrebbe banalizzare l’uso delle armi tra i minorenni.
Il momento finale del confronto ha avuto la forza di un gesto simbolico: il giovane, per un attimo, è rimasto senza parole. Un silenzio carico di significato, che ha lasciato spazio a un interrogativo più ampio: come si è arrivati al punto in cui portare un coltello viene percepito da alcuni ragazzi come una scelta normale?
Una domanda urgente, che chiama in causa scuola, famiglia, istituzioni e media. Perché se la violenza diventa linguaggio quotidiano, è dovere di tutti rispondere con nuovi codici, capaci di offrire alternative credibili a chi oggi si sente senza difese.
Se desideri, posso riformulare anche in stile più giornalistico, narrativo o d’opinione. Fammi sapere.
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