Non si tratta di una vicenda esplosa all’improvviso, ma di una storia maturata nell’ombra per mesi, lontano da occhi indiscreti, fino alla recente decisione drastica da parte del tribunale: i tre figli sono stati tolti alla custodia dei genitori, che da circa due anni vivevano ritirati in una zona boschiva dell’Abruzzo. Il primo segnale d’allarme risale al settembre 2024, quando un’intossicazione causata da funghi pericolosi porta all’intervento dei servizi sociali. Da quel momento, come descritto dalla madre nei suoi contenuti online, inizia una serie di episodi fatti di allontanamenti, rifiuti e fughe.
Il nome di Catherine Louise Birmingham, madre dei bambini e autodefinitasi “guida spirituale”, diventa centrale per comprendere il percorso della famiglia. Attraverso video, un sito web e un libro, promuove le sue attività offrendo sessioni di supporto spirituale con queste parole: “Se cerchi guarigione, consiglio o connessione con le tue guide interiori, io posso aiutarti”. Nei suoi filmati si intravedono messaggi contraddittori, timori e affermazioni confuse: parla di una fuga forzata dalla loro casa, racconta di essere stata costretta ad abbandonare ogni cosa, e afferma che, dopo l’intossicazione, la famiglia è scappata “verso il nord”. Da quel momento, il silenzio.
Nonostante la loro sparizione, il sistema giudiziario prosegue il suo percorso. Come riportato da fonti giornalistiche, il Tribunale per i Minorenni dell’Aquila ha disposto il 13 novembre l’allontanamento immediato dei tre minori. Una scelta motivata non da un singolo evento, ma da una lunga sequenza di segnali ignorati: mancata istruzione, isolamento sociale, incuria. La casa dove risiedevano, secondo le ispezioni, non possedeva alcun requisito di sicurezza, era priva di impianti e considerata insalubre. Quando vengono richieste analisi mediche e controlli sanitari, la famiglia non risponde, lasciando senza risposta ogni tentativo di contatto istituzionale.
Il punto più controverso della vicenda arriva con una richiesta che ha lasciato sconcertati persino gli operatori del settore: i genitori avrebbero acconsentito agli esami medici per i figli solo in cambio di 50mila euro per ciascuno. Un comportamento che rasenta il ricatto, in netto contrasto con le dichiarazioni pubbliche del padre Nathan, che giustificava la loro vita off-grid dicendo: “Le bollette sono fonte di caos”. Un’affermazione in netto contrasto con la cifra di 150mila euro avanzata alle autorità. Le fonti di reddito della famiglia sono poco chiare: due campagne di raccolta fondi, una da 10mila euro (con solo 2.500 raccolti) e un’altra da 25mila dollari (di cui ottenuti 17.700), e l’attività della madre come “coach spirituale” sembrano essere le uniche entrate documentate.
Nel mezzo di questa vicenda, anche il sociologo Paolo Crepet interviene ponendo una provocazione: “Chi trascura i figli per stare sui social viene tollerato, ma chi li educa immersi nella natura viene punito?”. Una riflessione che ha acceso il dibattito tra chi difende il diritto a uno stile di vita alternativo e chi sottolinea che vivere nella natura non può giustificare la totale assenza di protezioni per i minori. Un nodo centrale è l’istruzione: nessuna comunicazione ufficiale di homeschooling, solo un documento di una scuola privata di Brescia mostrato agli assistenti sociali, mai formalizzato.
Dopo mesi di latitanza, silenzi e inadempienze, la giustizia ha preso una posizione netta. Secondo i giudici, l’insieme di isolamento, ambienti non sicuri, cure sanitarie assenti e mancata istruzione configura una situazione di rischio reale per i bambini. Quella che sembrava una storia di ritorno alla natura si è trasformata in un caso legale che scuote profondamente l’opinione pubblica. E lascia aperto un interrogativo: fino a che punto è lecito sottrarre i propri figli alla società in nome della libertà, prima che lo Stato decida di intervenire?
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