Nel panorama culturale e mediatico italiano, la bandiera palestinese è diventata un simbolo sempre più ricorrente, esibito su palchi, balconi, eventi e concerti. Ma secondo Vittorio Feltri, storico editorialista e fondatore di Libero, questo gesto è tutt’altro che innocente. In una recente risposta a un lettore, Feltri ha definito “vergognoso” l’uso della bandiera palestinese da parte di Elodie durante un concerto a San Siro, accusandola di ignoranza ideologica e incoerenza civile.
Feltri non si è limitato a criticare il gesto: ha evidenziato l’assurdità, a suo dire, di associare quella bandiera – che secondo lui rappresenterebbe Hamas e un regime fondamentalista – ai valori di libertà e diritti civili di cui Elodie si fa spesso portavoce. “Come si può invocare diritti per le donne e gli omosessuali, e allo stesso tempo sventolare il simbolo di chi li opprime?”, si chiede il giornalista.
Il pericolo dei simboli svuotati: propaganda o impegno autentico?
Feltri va oltre il caso singolo e solleva un problema più ampio: la superficialità con cui molti personaggi pubblici aderiscono a cause e simboli senza comprenderne il significato. Secondo lui, la bandiera palestinese è diventata una “scorciatoia identitaria”, utile a mostrare al pubblico un certo schieramento politico o morale, ma priva di una reale consapevolezza storica.
Nel mondo dello spettacolo, sostiene, si assiste a un conformismo dilagante, dove l’impegno viene sostituito da una militanza estetica, che non si interroga sulle implicazioni profonde delle proprie scelte. Per Feltri, l’accostamento tra la bandiera palestinese e quella arcobaleno del movimento LGBTQ è un cortocircuito morale: “Dietro certi simboli si nasconde la giustificazione di crimini e violazioni sistematiche dei diritti umani”.
Il suo appello, in fondo, è uno solo: più coerenza e più responsabilità da parte di chi ha visibilità e influenza. Perché ogni simbolo racconta una storia, e ogni bandiera alzata dovrebbe corrispondere a un valore realmente conosciuto e condiviso.