I fratelli Bianchi, Marco e Gabriele, accusati di aver ucciso Willy Monteiro Duarte dopo averlo massacrato di botte a Colleferro, da quando sono entrati in carcere sono stati presi di mira dagli altri detenuti, che hanno deciso di rendere la loro detenzione un vero inferno. Da quanto emerso da alcune intercettazioni dei loro colloqui in carcere, durante la loro permanenza in prigione sono stati insultati e minacciati.
Nel corso delle loro denunce private sotto forma di sfoghi, i due fratelli Bianchi come anche Mario Pincarelli, anche lui imputato per l’omicidio di Willy, hanno raccontato che gli altri detenuti sputano nel loro cibo, li minacciano e continuano ad insultarli: “Impiccatevi, infami!”. Un clima di odio e di terrore con il quale i tre condannati da mesi convivono, qualcuno di loro ha pensato al suicidio oppure si è lasciato andare ad attacchi di ansia e paura. Da quanto emerso dalle intercettazioni registrate nel carcere di Rebibbia, Marco e Gabriele Bianchi si tengono in disparte perché temono ritorsioni da parte di chi li chiama infami e li minaccia.
Nei colloqui con il fratello Alessandro, uno dei due giovani ha raccontato: “Ci stanno i bravi e ci stanno quelli non bravi, le me*de”. Non sono poi mancati i racconti di alcuni episodi di intimidazione ai loro danni, quali sputi e parole offensive, ma anche un chiodo dentro il dentifricio, sputi nel cibo. Una situazione che rispecchia l’odio e la presa di distanza fuori dal carcere nei confronti di tutta la famiglia, con l’allontanamento da parte di amici e conoscenti, a cui si aggiungono delle condizioni economiche drasticamente peggiorate che hanno spinto la famiglia a vendere tutto.
Nei colloqui in carcere con il fratello Alessandro non sono mancati cenni alla sfilza di messaggi social dal registro infuocato in cui è emerso l’odio nei confronti dei due giovani, con la pagina social di Gabriele inondata da milioni di messaggi di odio, insulti e minacce. Anche le intercettazioni che riguardano Mario Pincarelli, a colloquio con suo padre Stefano, hanno rilevato una certa rassegnazione da parte del detenuto, dopo essere stato oggetto di minacce ed inviti a togliersi la vita: “Che caz*o mi frega a me che mi picchiano” – le parole del giovane in carcere.
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